Spam e catene di Sant’Antonio hanno in comune una interessante etimologia. Per il resto sono un triste indice della pochezza che attanaglia il mondo e di come l’ingenuità delle masse riesca a piegare strumenti tecnologici quasi miracolosi ad un utilizzo becero e dannoso.
Spam: prende nome da un surreale (e ormai mitico) sketch dei Monty Python che ha reso la nota marca di carne in scatola “Spam”, sinonimo di bombardamento commerciale molesto e indesiderato: una splendida antonomasia di origine comica, attuale anche e soprattutto nell’era di internet. Lo sketch vedeva una petulante cameriera proporre ad una coppia di clienti un menu in cui ogni piatto era farcito di carne Spam (“uova e Spam, uova pancetta e Spam, uova pancetta salsiccia e Spam, Spam Spam fagioli in scatola e Spam” etc.). Cercatelo in rete e guardatelo, vi toglierete uno sfizio.
Catene di Sant’Antonio: traggono il proprio nome dalla antica abitudine di inviare missive (quindi posta ordinaria, lettere scritte a mano, per intenderci) ad amici o conoscenti, chiedendo loro di recitare preghiere. Il tutto al fine di ottenere un presunto vantaggio ultraterreno da parte dei Santi stessi, riconoscenti per il numero esponenziale di preghiere generato dai vari alimentatori della catena. La ragione per cui è stato scelto il nome del celeberrimo Santo di Padova immagino sia solo statistica: Sant’Antonio è uno dei santi con il numero di devoti più elevato in tutto il mondo.
Molto bene. Ma come funzionano?
Si alimentano grazie ad una terribile miscela di malizia truffaldina da parte di chi li genera e di ingenuità o disinformazione cronica da parte di chi li diffonde.
Lo Spam è un’arma spuntata e grossolana: si tratta di messaggi sgrammaticati, illogici, insensati, spesso in lingua straniera (soprattutto inglese, cinese, russo), vomitati in rete da software creati ad hoc. Ovviamente per trovare chi ci casca e clicca su un link improbabile o risponde o inoltra la mail, sono necessari milioni di messaggi. Il che spiega la virulenza e il numero spropositato degli invii.
Le catene di Sant’Antonio invece mietono molte più vittime. In origine trovavano ragion d’essere nella fede, oggi invece sono lo strumento principe di diffusione dello Spam, oltre che di bufale varie, traffico inutile, malware, virus e chissà quali altre schifezze. Il meccanismo è quello di sfruttare l’ingenuità e la disinformazione di utenti della rete che, esplicitamente sollecitati, inoltrano con solerzia i messaggi ai propri (indifesi) contatti.
Si può trattare di appelli relativi a malattie strazianti o animali abbandonati, aneddoti spiritosi, barzellette, lezioni di vita, massime o aforismi vari ed eventuali; il comune denominatore è sempre l’esortazione a diffondere il messaggio in modo esponenziale. Ogni tanto c’è anche l’elenco delle disgrazie capitate a chi non ha provveduto ad inoltrare, oppure addirittura la richiesta esplicita di mettere il mittente tra i destinatari successivi (nemmeno il pudore di celare l’ingordigia di contatti…).
Eppure la gente ci casca lo stesso. Tutti inoltrano, allegri ed entusiasti.
Whatsapp a pagamento – Sotto Natale è esplosa una catena imbarazzante persino da descrivere. Annunciava che Whatsapp, il servizio di messaggistica via smartphone, sarebbe presto diventato a pagamento. Solo i furbastri privilegiati che inoltravano velocemente l’avviso ad altri dieci contatti, facendo cambiare un pallino verde presente nel messaggio in un pallino uguale di colore blu (???), avrebbero ottenuto il servizio gratis. C’era addirittura l’invito a controllare la veridicità del messaggio cliccando su un link ad un sito palesemente tarocco (watsapp senza la h… ebbene sì…) , probabilmente infarcito di malware o virus o chissà che altro.
Roba vecchia, lo so. Ricevevo bufale simili via SMS quando i telefoni cellulari avevano ancora lo schermo piccolo e monocolore; eppure non ci crederete ma è andata alla grande, la gente ci casca. E se provate a protestare vi beccate del pedante: “… uff… ma che fastidio ti dà? E’ gratis e poi non si sa mai, metti che sia vero…”.
Gratis… Beata ingenuità.
A Palo Alto, dove di queste cose se ne intendono, hanno fatto una stima dei danni provocati da questi simpatici fenomeni. Nel 2007 si parlava di circa 200 miliardi di dollari, senza contare l’allagamento della banda (il 60% del traffico internet pare sia legato a questi tentativi di guadagno più o meno lecito, poi ci si lamenta della lentezza, dei costi, etc.) e il giramento di balle dei destinatari, che devono cancellare decine di messaggi idioti ponendo attenzione a non sfiorare per sbaglio link o allegati nocivi.
Non mi sembra ci sia da aggiungere altro.
PS: se vi è piaciuto questo articolo fate un salto, fatene un altro; poi fate una giravolta, fatela un’altra volta; ma per cortesia non inoltrate nulla a nessuno. Non capiterà niente, in ogni caso.