Massimo Lolli, napoletano trapiantato in veneto, abile pittore di scenari urbani e di modelli sociali contemporanei, mi aveva già piacevolmente stupito con “Il lunedì arriva sempre la domenica pomeriggio”, amaro ma divertente.
Con questo nuovo romanzo mi ha conquistato e, come sempre accade in casi simili, finirò per entrare in libreria e fare razzia delle sue opere (alcune peraltro tradotte in linguaggio di celluloide, vedi “Volevo solo dormirle addosso”).
La trama
E’ un colorato intreccio di personalità, vite e radici territoriali. Bertilla, “boara di Vicenza, ripulita e infighettata” si incontra ogni anno con Maria Cira, napoletana verace e passionale, alle terme di un paesino nel profondo nord est. Sono donne innamorate dei loro figli e annoiate dei loro mariti, e cercano una boccata di ossigeno e di autocelebrazione in questi giorni di pausa da una quotidianità che negli anni ha perso colore e pathos, mentre loro sono rimaste belle e affamate di vita. E di sesso, se occorre (anche se non si dice).
Vi è poi Moreno Donadello, un ex protagonista del cinema e della pubblicità nella rutilante Milano da bere degli anni ottanta, ex creativo, ex fondatore della Società dei promettenti falliti, che ora galleggia sulla sua vita e sui ricordi senza più un ruolo, faticando a trovare un senso alle giornate. E il nipote Matteo, unico soggetto che considera Moreno ancora un mito, alle prese con la prima cotta e con la sempiterna battaglia del maschio per conquistare l’amore non corrisposto, in bilico tra la salvaguardia della dignità e lo slancio inarrestabile del cuore impavido.
Recensione del Ceo
I personaggi sono tutti, a loro modo, sopra le righe, ma riflettono bene i malesseri, le debolezze, gli eccessi, i difetti e la vitalità di una parte degli italiani. Mi riferisco a quei pochi rimasti che non hanno il cervello all’ammasso, almeno.
Maria Cira, scugnizza verace, con la lingua velenosa, svelta di cervello (e di mano…) che passa dalle scorribande nei vicoli della Napoli più verace e cruda, dove si era costruita una fama di capobanda, all’ovattato mondo del liceo classico, dove di colpo si rende conto di essere solo una tamarra. Cultura e sport però la riscattano e diventa una salace e pungente professoressa di italiano, capace di eloquio sofisticato e di uscite dialettali brucianti, ma con il richiamo selvaggio della scugnizza dei vicoli che continua a scorrere, solo assopito, nelle vene.
Bertilla, vicentina assai più sempliciotta, nella tradizione dell’iconografia veneta, che vede il mondo intorno a sé popolarsi di figli cresciuti e mariti invecchiati in modo triste, ma fatica a conciliare questa visione con quella della propria immagine allo specchio. Lei è sempre un gran bel pezzo di gnocca, con mani e piedi splendidi.
Moreno Donadello, vitale e creativo, un mito capace di elaborare capolavori come “Un mercoledì da terroni” (infuocata storia d’amore adolescenziale ambientata ad Ischia) o “Sei tornata sul luogo del relitto” (una sorta de “Il laureato” in chiave italiota), e di fondare la “Società dei promettenti falliti”, che già dal nome e dallo statuto vale un sorriso godurioso nella lettura.
L’intreccio, a fine lettura, risulta divertente, anche se fin dal risvolto di copertina, si è avvisati del fatto che si tratta di una “storia di uomini da sempre morti e di donne per sempre vive”. Niente male, anche se un po’ amarotico da digerire, per un maschietto.
Citazioni
« Non aveva mai provato alcun interesse per l’altro sesso, finché non aveva incontrato Marina. Ma non riusciva a parlarle. Ogni volta che si presentava l’occasione, Matteo iniziava a sudare, le mani gli tremavano, e le parole gli si spegnevano in gola. […] “Ti te ghè bisogno deo psicologo” gli aveva detto. “Io ho bisogno di te” avrebbe voluto risponderle, ma l’ottima risposta gli era venuta troppo tardi, mentre piangeva riverso sul banco. »
«Occorre distinguere le lettere d’amore fra amanti dalle lettere d’amore fra sconosciuti. Le lettere d’amore fra amanti non sono lettere d’amore, ma smancerie. Esse portano l’amore dove c’è. Solo le lettere d’amore fra sconosciuti sono lettere d’amore: esse portano l’amore dove non c’è. Due sconosciuti, un uomo e una donna, l’uomo non conosce e ama la donna, la donna non conosce e ama l’uomo: la donna ne legge la lettera e prova interesse e curiosità per lo sconosciuto. Prima di quella lettera niente. Dopo quella lettera tutto.»
Era questo l’amore? Era questo il sentimento di cui leggeva sui libri, che vedeva al cinema? Era questo il sentimento che non aveva mai provato nello stanzino col materasso? Era questo il sentimento che in quel momento le faceva mancare il fiato, battere il cuore, venir meno le gambe, lacrimare gli occhi? Maria Cira abbracciò forte Antonio, e pronunciò la sua prima frase d’amore: “Capocchione sei una merda.”
Scrivi post troppo lunghi per l’utente medio. Prova a scrivere frasi tipo “W la Gnocca” vedrai che piace
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