Dopo la prima esperienza fallimentare penso ad un colpo di sfortuna e decido di cambiare agenzia.
Mi trovo davanti un ggiOvane con capelli sbarazzini, i jeans sbregati e le scarpe trendy. Lo vedrei bene per in un reality o in un talent show. Tra l’altro è di un improbabile color marroncino lampadato e il fatto di essere belloccio aggrava terribilmente le cose. Quello che mi stupisce è che dimostra un quoziente intellettivo vicino a quello di un cercopiteco, fatica ad esprimersi in modo compiuto ma ha avviato una attività. Misteri del cosmo e del mercato. In ogni caso non mi faccio scoraggiare dalle apparenze, ci mancherebbe. Espongo le mie esigenze e i miei punti di vista. Lui interloquisce scettico e se ne esce con termini tipo non ci sto dentro, molto trendy, case di tendenza, zona V.I.P.
Ha detto proprio “zona vip”. Mi congedo.
Ormai scoraggiato, mi imbatto finalmente in un geometra coi capelli brizzolati. Si esprime in modo accettabile e soprattutto mi ascolta. Finora è il primo. Capisce che non ho grandi pretese ma vorrei una appartamento normale, con l’ascensore e la cucina, con una camera in cui si possano mettere letto e armadio, e con un cesso dove si possa, all’occorrenza entrare in due senza incastrarsi. Rinuncio anche al marmorino, non ho pretese di finiture particolari.
Mi sorride e finalmente mi fornisce la prima vera consulenza immobiliare da quando ho cominciato a incontrare intermediari. Il primo consiglio è quello di evitare le case nuove: mi spiega che spesso sono loculi progettati in modo da soddisfare i requisiti minimi di legge, con l’angolo cottura per poter guadagnare spazio e, di solito, senza ascensore per risparmiare. Sottolinea che il risparmio, naturalmente, è ad esclusivo vantaggio del costruttore visto che l’eventuale acquirente paga a peso d’oro tutto quanto. Oltretutto mi confida che, ormai sempre più di frequente, la manovalanza utilizzata è di basso profilo professionale, quindi ecco spiegate le finiture approssimative e tutto il resto. Per avere qualcosa di meglio bisogna spendere un patrimonio. I lussi di oggi (cucina separata, ascensore, camere a dimensione umana) corrispondono alla normalità di qualche anno fa. In pochi minuti mi chiarisce tutto. Facciamo due conti (è pratico anche di mutui) e scopro che per comprare un bilocale senza pretese, da single, dovrei accendere un mutuo trentennale da 700 euro al mese, al netto di arredamento, allacciamenti, spese condominiali e ammennicoli vari. Dico: ma ne vale la pena? In questo modo lo pagherei come due appartamenti e oltretutto, nella pur improbabile ipotesi che qualche sventurata decida coraggiosamente di mettere su famiglia con il sottoscritto, dovrei immediatamente cercare un’altra sistemazione. Penso allo stipendio medio di un lavoratore italiano, all’esercito di precari arruolato dal Paese, penso ad un ministro della Repubblica che ha definito i ragazzi italiani “bamboccioni” perché non se ne vanno di casa a 18 anni, penso allo stipendio che gli pagavamo (e probabilmente alla pensione che gli paghiamo ora) e mi viene un senso di nausea.
Esterno il mio disagio al geometra brizzolato, che sorride amaro e mi confida che suo figlio non può accendere mutui perché è un co.co.co/co.co.pro o interinale, non ricorda di preciso, e che quando ha sentito le parole di quel ministro gli è venuto un accesso di bile. A fine anno andrà in pensione e dubita che il figlio potrà fare altrettanto alla sua età. Il suo sguardo valle mille parole. Lo ringrazio sinceramente e torno a casa.
Passeggiando mi vengono in mente subito alcune possibili soluzioni al problema, o meglio all’esigenza di case e di autonomia dei ragazzi italiani: cercare l’appartamento in coppia (entrambi con contratto a tempo indeterminato ovviamente, quindi da oggi la morosa va cercata sulla base del curriculum); essere ricchi di famiglia, ovvero ricevere il cosiddetto “aiutino da casa”; vincere al superenalotto. Oppure la più semplice: ripiegare sull’affitto, magari dividendolo con un coinquilino come si faceva da studenti, e rinunciare ai sogni di gloria, di autonomia e via blaterando. Il prossimo che parla di sindromi di Peter Pan e di italiani mammoni che vivono coi genitori fino a tarda età si garantirà il diritto ad uno sputo in faccia. Se cita qualche ricerca sociologica, il secondo sputo è omaggio.
E no mio caro Ceo così non vale… così mi inviti a nozze. Nozze ? Ma che dico ? Scusami mi sono distratto un attimo nel rincorrere i sogni. Nozze ? Aspetta che sfoglio il mio personale vocabolario. Nozze, neutro… momento nel quale due giovani cuori si uniscono, e confortati oltre che dal profondo amore, dal lavoro, crescono e producono, mettendo su casa, confidando nel futuro. Casa ? Ricominciamo ? Cosi facendo non riuscirai mai a scrivere la Parte 3 del racconto, per cui ne esco con fretta anche perchè sto sempre ed ancora…. cercando casa.
Torno subito…
Se trovo.
Ovvio.