Come è giusto che sia anche i social network e i blog monetizzano la propria popolarità attraverso pubblicità e sponsor, con il vantaggio di poter vendere una profilazione per utente che i media tradizionali non possono nemmeno sognarsi.
Fin qui tutto bene, al netto della consapevolezza degli utenti riguardo al trattamento dei dati.
A sorprendere, ultimamente, sono gli inserzionisti e i prodotti sponsorizzati: non ci sono solo le classiche multinazionali del cibo, del web, della tecnologia o dell’automotive, che stanno bene con tutto e danno anche un certo tono internescional…
No no.
Ultimamente proliferano inserzioni tali da imbarazzare persino i ceffi che con il gioco delle tre carte provano a spennare passanti nelle aree di sosta degli autogrill.
Il “click baiting”
Si tratta di link a pagine web dai contenuti irrilevanti che cercano disperatamente di elemosinare un click o una visita, sia pure per sbaglio, per pietà, o giocando su una goffa promessa di contenuti appetibili tramite leve marketing da quattro soldi.
– “Clamoroso: guarda chi hanno arrestato… clicca qui…”
– “Non credevo si potesse arrivare a tanto, guarda cosa fanno queste ragazze…”
– “Incredibile questo video, guarda cosa è successo prima che lo cancellino…”
– “Clicca su mi piace e vedrai come si trasforma la foto…”
– “Lo sport italiano è sconvolto, guarda cos’è successo…”
– “Video shock: ragazza aggredita da uno squalo…”
Da così a peggio, degradando sempre più in basso lungo i gironi del trash.
Il trucchetto è ingenuo: molti superlativi, nessun nome, nessuna notizia precisa, solo qualche vago riferimento a temi morbosi, pietosi o demagogici che potrebbero stuzzicare la pancia degli utenti di bocca buona.
In gergo questa tecnica viene chiamata “click baiting”, espressione che in questo contesto si potrebbe maliziosamente tradurre come “ricerca grossolana di boccaloni che si lasciano abbindolare e cliccano”. Utilizzando un linguaggio che fa molto start-up e Silicon Valley potremmo definirla anche una strategia marketing 2.0 da poveracci.
Coloro che ci cascano, ovviamente, non trovano video impressionanti, rivelazioni di gomblotti o mappe per trovare il Graal: quando va bene arricchiscono qualcuno con il loro ingenuo click, quando va male può capitare che sottoscrivano inconsciamente qualche costoso abbonamento (soprattutto tramite smartphone) o incappino in malware o virus di vario genere (anche da tablet, laptop o PC).
Spesso, dopo esserci cascati con tutte le scarpe, lasciano addirittura commenti (quasi sempre zeppi di improperi e maledizioni): così facendo aumentano ulteriormente la diffusione della falsa notizia e la rendono visibile a tutti i loro “amici” o “contatti”. Oltre al danno la beffa, insomma.
Variazioni buoniste sul tema
Nella categoria “click baiting” possono essere ricomprese in molti casi anche le varie foto di cuccioli d’uomo o d’animale o paesaggi maltrattati o penalizzati da malattie, handicap, delinquenza o malcostume, accompagnate da frasette tipo:
– “Scommetto che non cliccherai mi piace”
– “Vediamo chi ha il coraggio di condividere“
– “Voglio più “mi piace” per questo tesoro che per il cantante Pinco Pallo“
Dietro queste palesi, ingenue provocazioni, si celano spesso pagine web o blog o siti interessati non a sensibilizzare o a solidarizzare, ma a guadagnare sfruttando la buona fede di coloro che si sentono più buoni, più sensibili, più ambientalisti o animalisti dopo aver cliccato.
Variazioni prestigiose sul tema
Il vizietto ha contagiato persino le redazioni di testate giornalistiche e i blog di livello nazionale, che acquistano spazi per pubblicare link promettendo scoop da premio Pulitzer e offrendo in realtà la cronaca di una partita tra scapoli e ammogliati alla sagra della pappardella.
Si tratta in pratica dell’equivalente degli antichi strilloni, riveduti e corretti in salsa digitale: l’acqua calda viene riscoperta di continuo…
Il giochino, probabilmente, durerà poco: il tempo per le redazioni di accorgersi che il danno di immagine è superiore agli effimeri introiti derivanti da qualche visita in più.
Crociata contro il click baiting selvaggio?
Quello che stupisce è la leggerezza con cui svariati colossi del web e dell’editoria si sono prestati a mezzucci di questo spessore: evidentemente rendono molto bene, o forse in Italia mancano manager in grado di gestire l’immagine o la reputazione di un brand, o magari quei manager ci sono e ritengono opportuno adeguare il livello a quello dell’utente medio pur di fare cassa, correndo il rischio di un clamoroso autogol in termini di immagine.
Chi può dirlo…
La notizia positiva, diffusa negli ultimi giorni, è che alcuni tra i social più importanti stanno cercando di prendere provvedimenti in proposito e di estirpare questa gramigna digitale che irrita gli utenti e rischia di ledere la reputazione di chi, pur senza responsabilità dirette, contribuisce a lasciarla seminare e fiorire rigogliosa.
Staremo a vedere.
Considerazioni finali
Il fenomeno potrebbe fornire aria fritta da consumare in quantità a diverse categorie di esperti: sociologi, società di digital marketing, specialisti della comunicazione, bloggers da strapazzo, giuristi, nonché “critici, politici e scassacassi vari”. *
La considerazione più demoralizzante tuttavia è sotto gli occhi di tutti.
Si tratta di una guerra tra poveracci che rende bene lo spessore umano su cui poggia il nostro quotidiano: tanti patetici parassiti che cercano di arricchirsi mettendo nel sacco altri italioti sprovveduti o molto ingenui, sguazzando tra le pieghe sudaticce del grasso ventre di istituzioni ferme al paleozoico superiore.
Di che stupirsi d’altronde?
Quella stessa umanità ha arricchito maghi e cartomanti in TV, inoltra allegramente catene di Sant’Antonio che già negli anni ’50 i nostri nonni cestinavano seccati, si accapiglia su internet per una marca di smartphone, un partito politico, una squadra di calcio, una moda alimentare o un talk show.
Quello stesso serraglio conta tra le sue fila pletore di opinionisti da tastiera in guerra coi congiuntivi, estremisti di qualsiasi cazzata, ambientalisti improvvisati, animalisti da salotto buono, moralisti pelosi, giustizialisti da strapazzo, guaritori da talk show e, giusto per non finire off topic, tonnellate di scaltri gomblottisti che pensano di aver stanato le trame segrete dei poteri forti ma cascano come dei polli nei tranelli da quarta elementare del click baiting.
Che dire… “Continuiamo così, facciamoci del male…”. *
* In palio due tradizionali caffè, uno con humor e uno con utopia, per chi indovina nei commenti le tre citazioni del post.
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Tra i siti davvero ai confini della realtà del “click baiting” c’è senza dubbio “libero.it”…la cosa più aberrante è quando riportano a caratteri cubitali un “grave lutto” per qualche VIP…per poi scoprire che gli è morto il cane!!? Se non fosse che su libero ho la “casella di posta spazzatura”, avrei già messo un “blocco di default al browser…
Ma che ooooooo.. chi ze che ga verto a porta!