E’ stata una vampata emotiva inaspettata, fuori contesto e fuori stagione.
Mi trovavo in uno splendido agriturismo nelle vallate padane, in una serata di fine inverno. Legno e pietra scaldavano gli ambienti, e molti ceppi schioccavano luminosi nei caminetti. Nei percorsi tra centro benessere, sale congressi e cene “a km zero”, è germogliato a sorpresa il tema del viaggio, il seme del ricordo, della nostalgia, della voglia di salpare.
La voglia di un viaggio in barca.
Senza motivo sono esplose nell’anima mille immagini, sono emersi vivi e intensi i ricordi, i suoni, i rumori. Tutto si è mischiato in un confuso mosaico di sensazioni, tuttavia il risultato è stato inequivocabile: emozioni improvvisate ma feroci hanno acceso il mio languore.
La voglia irrefrenabile di dimenticare le scarpe, i vestiti, le auto, gli hotel, le aziende, le abitudini; di salpare e proiettarsi in una dimensione sospesa tra cielo e mare, lontano dal mondo e dal suo rumore, che dopo qualche giorno di barca appare come un lontano ricordo difficile da focalizzare.
La gioia di ancorare ogni giorno in una rada diversa, di esplorare baie e calette, di scoprire mille angoli di paradiso e decidere a pelle quale scegliere come contesto per la notte. Il languore incontrollabile che invade gli animi quando il tramonto incendia l’orizzonte, prima di cena.
L’allegria sobria della cena, che alla luce tremolante della barca è un rito frugale di condivisione, sobrio e poco chiassoso ma capace di rinsaldare i legami, di avvicinare i cuori ubriacati da orizzonti sconfinati d’acqua.
Il rumore assordante dell’anima che si espande dopo cena, quando si rimane in silenzio sul pozzetto a guardare le stelle, con la bottiglia di rum in mano; senza l’impudenza di rompere l’incantesimo con parole inutili, che tanto nessuno le sentirebbe: in quel momento si è troppo impegnati ad ascoltare sé stessi.
Il sonno precario nelle cuccette: la barca che ti culla e ti compone una ninna nanna con i rumori delle cime, dell’albero, delle vele, dell’ancora, del legno; solo chi l’ha sentita può capire quanto sia affascinante. Lo sciabordio delle onde, che infine affoga i pensieri e ti accompagna nel sonno.
L’abitudine, al risveglio, di salpare ancora; di lasciare quegli angoli di paradiso scelti appena la sera prima. La sensazione agrodolce di aver sfiorato dei sogni mancati; la certezza di dover levare le ancore per non scalfirne la magia e per andare ad accarezzare altre emozioni.
Il desiderio irresistibile di partire mi ha invaso. Ho cercato di racchiudere l’intensità di quel momento in un sms e l’ho inviato ad un amico con cui ho condiviso molti viaggi in barca, sperando di riuscire a renderne la portata emozionale. Sintetizzare il tema del viaggio in 160 caratteri è impresa ardua. La sua risposta ha fugato ogni dubbio e mi ha dato la certezza che le vibrazioni di quei viaggi non sono rimaste solo dentro di me, che il messaggio era giunto a destinazione. Era semplicissima: una sola parola, che però racchiudeva tutto.
“Giugno”.
Amico mio carissimo, non vorrei incrinare l’aura poetico sentimentale del tuo post, ma nel quadro che hai dipinto mi manchi tu che sbraiti e sbuffi, che borbotti peggio di una pentola che bolle per il caldo e l’umido e che invochi il freddo e la neve!!!
Notevole. Una forte emozione nasce in me leggendo questo tuo post. Pur non avendo mai calcato i mari, per un istante mi sono trovato nel pozzetto, bottiglia di rum in mano, ad ascoltar me stesso alla luce delle stelle. Aggiungo… ottimo il commento di Poldo che sembra “conoscertibene” e aggiungo ancora… l’artista ha le sue debolezze !! Un saluto.
Ma che figata di post.
Bravo mi piace.
Manca solo un accenno ad un sottofondo di musica Reggae che fa tanto libertà, mancanza di preguidizi e voglia di vivere in sintonia con il mondo.
Un abbraccio.