Questa è una storia d’altri tempi, una storia di sport.
La storia di un corridore, mezzofondista e maratoneta.
Di un predestinato.
Non si allenava con scarpette ipertecnologiche fatte su misura, non era seguito da uno staff di allenatori, fisioterapisti e psicologi dello sport, né perfezionava i tempi su piste realizzate in materiali super performanti.
Semplicemente correva come un treno.
Se gareggiasse oggi, farebbe probabilmente incetta di titoli mondiali, olimpici, sponsorizzazioni e visualizzazioni sui social. Ma nove ragazzi su dieci, ai giorni nostri, credo ne ignorino persino il nome.
Ed è un peccato.
Emil Zátopek nasce in Cecoslovacchia nel 1922.
A diciotto anni si guadagnava da vivere facendo l’operaio presso una fabbrica di calzature che un giorno organizzò una gara di corsa, fornendo le scarpe a tutti gli atleti per farsi pubblicità: una sorta di “sponsorizzazione” ante litteram. La fabbrica si chiamava Bata. Emil non aveva mai partecipato ad una competizione, ma il suo supervisore gli regalò un paio di quelle scarpe: “Gareggia anche tu!”
Arrivò secondo.
Da allora esplose la sua passione per la corsa.
Si allenava anche 4 ore consecutive, soprattutto col buio, dopo il lavoro.
Correva male, Zátopek.
Era davvero un brutto spettacolo: collo piegato, espressione di estrema sofferenza, braccia scoordinate. Sarebbe stato un incubo per qualsiasi allenatore e per tutti i “puristi” odierni: già allora i cronisti lo irridevano per il suo “stile” poco aderente ai canoni dell’estetica.
Soprattutto ansimava, ansimava in modo rumoroso, come un mantice.
Ma correva come un treno e non si fermava mai.
Non possedeva scarpette da allenamento: si infilava i suoi stivaloni e si sfiniva correndo.
Non in pista, col fisioterapista accanto, ma sulla neve, con sua moglie sulle spalle per faticare di più.
Nel 1946, per partecipare ad una gara a Berlino, inforcò la bici e pedalò per 354km per poi presentarsi ai nastri di partenza.
Divenne ben presto imbattibile.
Le Olimpiadi di Helsinki – 1952
Emil Zatopek entrò definitivamente nella leggenda alle Olimpiadi di Helsinki, nel 1952.
Aveva già vinto l’oro nei 10.000 metri (alla sua seconda prova su quella distanza) e l’argento nei 5.000 metri ai Giochi olimpici di Londra del 1948.
Negli anni successivi aveva inoltre stabilito il record del mondo dei 5.000, dei 20.000, dei 25.000, dei 30.000, dell’ora e, per 4 volte consecutive, dei 10.000 metri.
Insomma, un fenomeno.
Ad Helsinki però realizzò un’impresa straordinaria. Di quelle che profumano, appunto, di leggenda.
Aveva trent’anni, non proprio un ragazzino, ma si mangiava a colazione tutte le giovani promesse dell’atletica leggera. Era strafavorito sulle distanze dei 5.000 e dei 10.000 metri, tanto che gli organizzatori, per evitare di avere un vincitore scontato in entrambe le discipline, pianificarono le due gare la stessa settimana.
Tutti gli altri atleti scelsero a quale delle due iscriversi, ma lui no.
Partecipò ad entrambe. O meglio, non si limitò a “partecipare”.
– Le vinse entrambe e conquistò due medaglie d’oro.
– Stabilì i nuovi record olimpici in entrambe le specialità.
– Nei 10.000 arrivò al traguardo dopo aver doppiato tutti gli avversari (…).
Già queste imprese lo avrebbero proiettato nell’olimpo degli atleti di ogni tempo.
Ma Emil Zatopek non aveva ancora finito di stupire il mondo.
Sua moglie, atleta anche lei, doveva partecipare alla finale del giavellotto qualche giorno dopo, quindi rimase ad Helsinki per aspettarla. Nell’attesa decise di iscriversi all’ultima gara, in una disciplina che non aveva mai affrontato. La maratona.
Una follia, secondo allenatori ed atleti presenti in Finlandia.
La maratona è un giudice severo, in grado di stroncare qualsiasi velleità.
Zatopek tuttavia non aveva paura di nulla, quando si trattava di correre.
Non conosceva le strategie di gestione delle energie e delle distanze proprie della maratona, quindi il giorno della gara si fece indicare l’atleta favorito, l’inglese Jim Peters, e cominciò a seguirlo.
Al diciannovesimo chilometro si affiancò all’avversario, chiedendogli se quella che stavano tenendo fosse l’andatura giusta. Peters, detentore del record olimpico, giocò di tattica e gli rispose che stavano correndo troppo lentamente. Sperava che l’inesperto Emil si sfiancasse accelerando.
Una trappola che si rivelò fatale. Ma per l’inglese.
Zatopek accelerò.
Cominciò ad ansimare e stantuffare, volando in fuga solitaria con un ritmo forsennato.
E non si fermò più.
Entrò nello stadio olimpico da solo, tra le ovazioni di un pubblico incredulo ma in visibilio per l’impresa. Aveva le spalle storte, la testa reclinata, la lingua fuori.
Ansimava come un mantice, sembrava tutto scassato, pareva stesse per rompersi.
Ma continuò a correre fino al traguardo.
Vinse la sua terza medaglia d’oro e polverizzò il record olimpico della Maratona.
Il suo slancio testardo e i suoi sbuffi di fiato fecero volare lontano anche il giavellotto della moglie Dana, che poco dopo infranse a sua volta il record olimpico e vinse l’oro.
Tornarono in patria come eroi.
Epilogo
Durante la primavera di Praga, nel 1968, un giovane carrista russo rimase stupito dal coraggio e dalla passione di un uomo stempiato che, per nulla intimorito dai carri armati intervenuti per reprimere la voglia di democrazia del popolo cecoslovacco, aveva fermato lui ed altri commilitoni e improvvisato una sorta di comizio.
Una folla di persone di ogni età lo osannava mentre cercava di far capire ai soldati russi gli aneliti di libertà che spingevano la gente in piazza a manifestare contro il regime sovietico.
Quell’uomo stempiato era Emil Zatopek, lo sportivo più famoso della Cecoslovacchia.
Non aveva paura di nulla, non solo quando si trattava di correre: nemmeno i blindati russi e le truppe armate lo avevano intimorito. Aveva anche firmato il Manifesto delle 2000 parole (*).
Come prevedibile, tuttavia, pagò il suo affronto al regime sovietico: fu espulso dal partito, mandato in miniera e poi condannato all’oblio, dietro la cortina di ferro. Ha fatto a tempo a godersi qualche anno di serenità solo dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989 (**)
Morì a Praga, nel 2000.
La sua leggenda tuttavia è ancora viva per tutti gli appassionati di Sport e di Olimpiadi.
Se vi capita di passare per Losanna, al parco olimpico troverete una statua eretta in suo onore.
Molta gente da ogni parte del mondo, vi si reca in visita per rendere omaggio alle straordinarie imprese di Emil Zatopek, la locomotiva umana.
Dicono che qualche volta, se c’è molto silenzio, avvicinandosi alla statua con gli occhi chiusi e ascoltando con attenzione, si riescano a percepire l’eco di un tifo lontano e il respiro pesante di un atleta straordinario, che ansima come un mantice. Se siete fortunati, forse capiterà anche a voi.
(*) Il Manifesto delle 2000 parole è un testo del 1968, pubblicato dallo scrittore Ludvik Vaculik durante la Primavera di Praga. Conteneva “Duemila parole rivolte ad operai, contadini, scienziati, artisti e qualsiasi altra persona.” Si trattava di un pamphlet contro il Partito Comunista e contro il declino culturale e umano in cui aveva trascinato il popolo cecoslovacco. Venne pubblicato con in calce 70 firme di accademici, scrittori, poeti, registi, attori e campioni dello sport e incendiò sia la rivolta di Praga che la repressione da parte di Mosca.
(**) Chi fosse interessato a qualche informazione in più sul muro di Berlino, e in particolare sulle rocambolesche vicende che il 9 novembre del 1989 portarono alla sua caduta e cambiarono la nostra storia, può leggersi un nostro post sull’argomento, scritto poco dopo una gita nella capitale tedesca. Basta CLICCARE QUI: “Berlino – Diario di viaggio (parte III)”
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